Il volo dei sensi

Mi chiamo Andrea, e viaggiare è sempre stata una delle mie più grandi passioni. Non vedo dalla nascita, ma ho imparato a scoprire il mondo attraverso gli altri sensi, che mi guidano in un universo fatto di suoni, odori, sapori e sensazioni tattili. Oggi intraprenderò un volo verso una nuova destinazione: Barcellona. Questa città mi ha sempre affascinato per la sua cultura vibrante, il profumo del mare che si mescola a quello delle spezie nei mercati e la musica che pervade le strade. Il motivo del mio viaggio è speciale: voglio partecipare a un festival musicale in cui si esibisce un caro amico. La musica, che per me è un modo per percepire il mondo, sarà il filo conduttore di questa esperienza.

L’aeroporto è il primo scenario di questa avventura, un luogo che per molti può essere impersonale e caotico, ma che per me è un universo vibrante di stimoli sensoriali.

Appena varco le porte automatiche, un soffio d’aria condizionata mi accarezza il volto, portandomi addosso l’odore di caffè, plastica e metallo. Il brusio incessante delle persone che parlano, ridono, annunciano partenze e arrivi si mescola ai suoni secchi e ritmici dei trolley che rotolano sul pavimento lucido. Ogni tanto, una voce metallica irrompe nel flusso costante di rumori per annunciare un volo in partenza o in arrivo. C’è una certa musicalità nell’ambiente, una sinfonia composta da centinaia di piccoli suoni sovrapposti.

Mi oriento con i suoni e con gli odori. Riconosco la zona delle caffetterie dall’aroma avvolgente del caffè appena macinato e dalle risate squillanti delle persone che si concedono un momento di pausa prima di partire. L’odore leggermente bruciato del pane tostato mi guida verso un bar, mentre più in là percepisco il profumo intenso e speziato del cibo etnico che proviene da un ristorante. In sottofondo, il ronzio vibrante dei nastri trasportatori mi guida verso il check-in, dove una donna con voce squillante mi chiede il documento. La carta d’imbarco fruscia tra le sue mani. “Ecco a lei”, dice, e la sua voce ha il tono formale e gentile di chi ripete la stessa frase cento volte al giorno. Il tatto mi aiuta: il cartoncino della carta d’imbarco è rigido, con angoli netti.

Superati i controlli di sicurezza, dove il bip metallico degli scanner e il tintinnio di monete nelle vaschette riempiono l’aria, mi dirigo verso il gate con l’aiuto di un assistente aeroportuale. Il suo profumo di dopobarba fresco si mescola all’odore dolciastro delle brioches appena sfornate e a quello pungente del cherosene. Ogni passo mi porta più vicino all’attimo in cui lascerò il suolo per affidarmi al cielo.

Una hostess mi prende sottobraccio con delicatezza e mi accompagna all’aereo. “Attento al gradino”, mi avverte, mentre il pavimento sotto i miei piedi passa dall’essere solido e fresco a un tappeto morbido e caldo. L’aria qui dentro è diversa: sa di tessuto sintetico, aria riciclata e un leggero sentore di disinfettante.

Il sedile è stretto, con i braccioli rigidi e il tessuto leggermente ruvido. Allaccio la cintura, sentendo il metallo freddo tra le dita, e mi appoggio allo schienale. Intorno a me, suoni ovunque: il click delle cinture, il bisbigliare dei passeggeri, il fischio sottile del sistema di ventilazione. Poi la voce del comandante, che rimbomba ovattata dagli altoparlanti: “Signore e signori, benvenuti a bordo…”.

Il motore si accende con un ruggito profondo, una vibrazione che sale dai piedi fino al petto. L’aereo inizia a muoversi lentamente, poi accelera. Il momento del decollo è un’esplosione di sensazioni: la spinta contro il sedile, l’aria che cambia consistenza, il senso di vuoto nello stomaco mentre ci stacchiamo da terra. Le voci intorno a me si fanno più sommesse, quasi riverenti, mentre l’aereo si solleva nel cielo.

Una volta stabilizzati, posso rilassarmi. La pressione nelle orecchie si regolarizza dopo qualche deglutizione, il motore emette un ronzio costante che sembra cullarmi. Qualcuno vicino a me sfoglia una rivista: il fruscio della carta mi fa immaginare le pagine patinate sotto le sue dita. Poco dopo arriva il carrello delle bevande, il tintinnio del ghiaccio nei bicchieri di plastica mi fa venire voglia di qualcosa di fresco.

Bevo un succo d’arancia, il sapore acidulo e dolce al tempo stesso mi rinfresca la bocca. L’hostess passa di nuovo, lasciandomi una salvietta umida: la strofino tra le mani, il profumo di limone si diffonde e mi aiuta a restare sveglio.

Poi, il pilota annuncia che iniziamo la discesa. Le vibrazioni cambiano, più brusche. L’aria intorno a me si fa più densa, come se potessi sentirla spingermi verso il basso. L’aereo tocca terra con un tonfo leggero, poi un rallentamento deciso. Un applauso spontaneo esplode tra i passeggeri.

Mentre scendo la scaletta, un colpo d’aria calda mi investe. Respiro a fondo: sento l’odore di terra, di benzina e del mare vicino. Sono arrivato. Anche senza vedere, so che il viaggio è stato meraviglioso.


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